La parola di questa domenica è: “apriti”.
Il verbo all’imperativo è sinonimo di comando, di estrinsecazione di una capacità, di un potere che dimostra la sua superiorità nel raggiungimento del risultato.
Gesù prese da parte il sordomuto per poter dimostrare alla fede di costui il suo potere. Non bramava tanto dimostrarlo alle folle, quanto rispondere in modo personale alla fede personale del singolo. Il suo ordine fu dato alla natura che obbedisce all’ordine dato da Dio nel momento della creazione del mondo e, dal quel momento, tutto deve essere regolato, nulla può essere fatto se non secondo natura.
Ma venne un uomo che si disse Figlio di Dio e che per poter dimostrare chi era veramente, come unico strumento ebbe quello di derogare, in diverse occasioni, alle regole della natura. Quindi guarì i lebbrosi, fece vedere i ciechi dalla nascita, fece parlare i muti ed udire i sordi, fece camminare i paralitici ed infine fece risuscitare i morti. Ecco l’elenco delle regole che Gesù sovvertì per dimostrare agli increduli che ciò che diceva era vero.
Nel verbo ’apriti’, abbiamo anche altri significati che, appunto, ci aprono ad altri mondi, ad altri sensi. Infatti là dove le nostre menti possono aprirsi, si spalancano mondi nuovi, ambienti pieni di quella gioia che solo la piena condivisione del messaggio evangelico può dare.
Così ci può aiutare il semplice gesto di aprire le braccia nell’atto di accogliere e abbracciare un amico. Quando apriamo le braccia, generalmente ad esse si accompagna anche il sorriso, l’accelerazione del battito cardiaco, la voglia di stringere e sentire il corpo dell’altra persona che abbiamo di fronte, gli occhi si illuminano, i nostri pensieri sono pieni di positività, di accoglienza, di amore, di speranza.
Le braccia che si aprono sono la manifestazione del nostro aprirci all’altro. Ma si possono aprire anche le labbra nel bacio e nell’eloquio con il quale accogliamo l’altro facendolo parte della nostra vita, del nostro mondo.
Così si aprono le braccia del medico e dell’infermiere che soccorrono il malato o il ferito. Si aprono le braccia dell’insegnate che accoglie l’alunno nel mondo del sapere. Allo stesso modo, però, dovrebbero aprirsi anche le nostre porte per far entrare il prossimo nella nostra casa.
Purtroppo però oggi questo aprirsi universale è fortemente ridotto ad uno sparuto numero di persone e in pochissimi casi. Oggi invece che aprire, sembra che dominino i verbi chiudere o limitare perché si ha paura dell’invasione dell’altro nel nostro mondo.
Ben sottolinea questo atteggiamento l’apostolo Giacomo quando parla dell’accoglienza differenziata tra un ricco e un povero. Per fortuna Gesù non si comporta così, perché quando leggiamo queste pagine inconsciamente noi ci mettiamo, quasi senza volerlo, nel ruolo del ricco, mai in quella del povero. Potrebbe darsi, invece, che di fronte a Gesù noi siamo invece quel povero che è così bistrattato nella nostra società. Vediamo di comportarci di conseguenza, limitando, questo sì, la nostra arroganza nei confronti di chi consideriamo inferiore, diverso, straniero. La cultura della separazione elitaria è una cultura di morte non di vita. Lavoriamo invece tutti quanti, nel nostro piccolo mondo a creare una cultura di vita, una cultura che prosegua la fede di coloro che ci hanno preceduto e che hanno festeggiato, in questa giornata, il genetliaco della Madonna. La nostra Madonna di Pia ha sempre protetto i suoi figli. Da sempre questa data è stata sinonimo di festa mariana intima, dopo i clamori del ferragosto laico.