la parrocchia
Santuario di Maria Pia
La Chiesa
Il lemma “Pia” che, come aggettivo nel nostro linguaggio devozionale istintivamente viene applicato a Maria, nella sua origine non aveva assolutamente questa valenza. Deriva dalla denominazione del territorio e si riferiva alla “Valle Pia” che fiorisce lungo il corso dell’attuale Sciusa.
Questo nome comincia a comparire, con le relative varianti di Picis, Pice, Pingue, Pia in documenti dei secoli XI e XII, e indica sempre un paese organizzatosi in una libera “compagnia” o struttura aggregativa dotata di proprie norme disciplinari e sociali. Significativo per gli studiosi è l’abbinamento del Castrum Perti con il Castrum Piae: il primo doveva costituire una rocca difensiva del territorio del Finale per la parte più interna del territorio, mentre il Castrum Piae doveva costituire un centro difensivo della zona marittima. L’origine del nome di Finalpia deve essere ricercata nelle vicende storiche che accomunano i tre centri del Finale: Marina, Borgo e Pia.
A causa del passaggio del paese di Pia al dominio feudale dei Del Carretto che, nella persona di Enrico II (+1239), unirono il territorio di Finale al marchesato di Savona, il paese di Pia, come gli altri della zona, non poté costituirsi in libero comune anche se tale unione contribuì a far conservare alla regione finalese una significativa unità politico-amministrativa. In ogni caso i documenti successivi continuano a fornirci numerose indicazioni a riguardo della località di Pia che essi designano con diverse espressioni, indici a loro volta di un aumento di interesse e di vitalità: de vale Pie Finarii, de Monte Pie, de Pia, de vale Pia districtus Finarii, de Finario vallis Pie, in poxe Finarii Vallis Pie.
Né manca qualche espressione indicante in maniera più chiara una frazione di Pia situata presso la spiaggia, Burgum Maris o maritima Finarii prope vallem Pie.
La storia
L’origine del Santuario di Maria Pia è probabilmente da collocare in sintonia con quanto avveniva alla fine del primo millennio per i castra di Perti e di Orco, che includevano quasi obbligatoriamente al loro interno anche un piccolo edificio sacro. Ciò sarebbe in pieno accordo con la rinascita sociale, urbanistica e religiosa verificatasi anche in Liguria attorno al Mille con la cessazione delle incursioni saraceniche dell’alto Medio Evo. Quale fosse la consistenza di questo ipotetico primo santuario mariano, non è dato di immaginarlo.
L’epoca di costruzione della fabbrica primitiva, è ricordata in un testamento del 6 Maggio 1303, di tale Giovanni Vassallo, rogato in Genova dal notaro Ambrogio Rapallo. Solo nel 1340 si ha notizia di un Dorninus presbiter Nicolinus de Cervo capellanus in ecclesia Sante Marie de Pia, il che conferma l’avvenuta ultimazione della, Chiesa e la residenza in essa di un cappellano.
La chiesa in origine non era stata disegnata come un complesso monastico ma era stata affidata a sacerdoti secolari e rimase in loro mani fino al 1476. L’ultimo rettore secolare, Giovanni Alciatore – rector et minister ecelesie Beate Marie de Pie – vi rinunciò, quando con la bolla pontificia di Sisto IV essa venne affidata ai Benedettini Olivetani.
Si tratta della più antica chiesa dedicata alla Vergine in territorio finalese il che ha contribuito a farla considerare dalla popolazione come il santuario mariano del Finale e non è raro trovare il titolo di “Signora del Marchesato” attribuito alla “Madonna Pia”. In tal modo i culti già esistenti nel finalese e risalenti a santi della tradizione paleocristiana (Calocero, Cornelio, Cipriano, Sebastiano, Lorenzo, Dalmazzo, Antonino, Eusebio, Martino) o bizantina (Giorgio) o longobarda (Donato) si arricchivano del titolo mariano.
L’architettura
Nel piano architettonico un’importanza particolare riveste il bel campanile romanico-gotico e alcuni resti inglobati nelle trasformazioni che lungo i secoli l’edificio ebbe a subire, dall’epoca rinascimentale a quella barocca. Dopo otto secoli dalla sua costruzione esso si presenta in condizioni di conservazione più che soddisfacenti anche per l’accurato, recente restauro avvenuto nel 2002-2003. Esso è composto di sette piani di cui gli ultimi quattro contengono delle bifore con l’arco a tutto sesto e il capitello a stampella secondo una tradizione propria dell’architettura romanica, mentre l’incipiente influsso gotico è testimoniato dalla tendenza verso l’arco acuto propria degli archetti pensili. Il campanile – di un tipo stilistico che nel Finale richiama soprattutto quello di Gorra – termina con quattro piccole cuspidi laterali ed una cuspide principale in cui si aprono quattro monofore.
Influssi lombardi e provenzali sono ravvisabili in questo o quel particolare ma l’armonia di tutto l’insieme rivela una sostanziale fedeltà all’impianto romanico, con la netta prevalenza della struttura orizzontale, del senso dell’ampiezza e della solidità.
La presenza, a Pia, di una testimonianza architettonica quale il campanile della chiesa è un netto elemento distintivo nei confronti delle altre costruzioni sacre lungo il litorale finalese – ove l’architettura medievale è scarsamente rappresentata – mentre, per trovare qualche cosa di corrispondente quanto ad epoca e significato, bisogna pensare al bel campanile della chiesa di S. Biagio di Finalborgo.
L’Altare Maggiore
Leggiamo in un operetta sul nostro Santuario scritta dallo storico P. G. Salvi O.S.B. che ”I Signori Don Ottavio Maria Prasca, canonico della collegiata di Finalmarina e il dottor Cristoforo Maria, suo fratello, nel 1728 fecero costruire a proprie spese l’Altare Maggiore con la graziosissima Ancona e le balaustre, tutte condotte a “marmi fini e mischi di Palermo”.
Detta Ancona racchiude in una cornice ovale di marmo nero la sacra Icona della Madonna di Pia, che è il cuore del nostro Santuario. L’icona è una tavola lignea riproducente la Madonna col Bambino.
Vari indizi ne riportano l’origine agli inizi del Quattrocento, il che è confermato dall’esame stilistico del quadro sul quale mancano per altro indicazioni cronologiche precise. Ciò significa che, nel periodo precedente, doveva esistere nella Chiesa di Pia un’altra effige della Madonna, andata in seguito perduta o sostituita per motivi a noi sconosciuti. L’attuale quadro, infatti, fa la sua comparsa nella Chiesa di Pia nel 1533, anno in cui esso venne esposto nella grandiosa cornice lignea intarsiata da Fra Antonio da Venezia. In seguito ne venne eliminata la parte superiore terminante ad arco acuto e furono compiute alcune modifiche. Si può supporre che il quadro costituisse alle origini il pannello centrale di un polittico, ridotto poi alle attuali proporzioni a causa del deterioramento delle parti circostanti.
Quanto all’autore, un’attribuzione a Niccolò da Voltri, attivo tra il 1385 e il 1417, è stata proposta dal grande critico Adolfo Venturi: l’identificazione si basa su di un confronto con un soggetto molto simile, chiaramente firmato, esistente nella Chiesa genovese di S. Donato e che presenta forti analogie col quadro di Pia quanto alla struttura compositiva del gruppo raffigurato.
La Madonna è attorniata da due angeli dalle stole incrociate e rivela, nella staticità della composizione e nella peculiarità della decorazione, un persistente influsso bizantino filtrato attraverso una mediazione dell’arte senese. Il quadro, in ogni caso, deriva la sua importanza anche dal fatto che esso costituisce una delle rare testimonianze della pittura ligure fra il ‘300 e il ‘400.
Si è recentemente suggerita l’origine funeraria del quadro, nel senso che esso sia stato commissionato in suffragio di una qualche anima.
Il Divin Bambino tiene sul dito indice della mano sinistra un uccellino: l’immagine dell’anima che, liberata dai vincoli terreni, si libra come un uccello, ricorre in tutta l’arte medioevale.
C’è inoltre, in questo quadro, un particolare che lo rende unico in assoluto: in nessun’altra rappresentazione di Gesù in braccio alla Madre, si vede il Bambino vellicarsi la pianta di un piede, gesto che, invece, è abbastanza frequente nei bimbi che, ancora scazi, giocano sulle ginocchia della mamma.
La Sacrestia
Meritano una visita le tarsie della sacrestia, restaurate nel 1993. Disposte in due gruppi simmetrici di tre pannelli ciascuna, esse presentano interessanti elementi naturalistici e zoomorfi, strumenti scientifici e musicali, libri e sfondi architettonici, oggetti liturgici e lesene scolpite in bassorilievo.
L’accuratezza dei particolari si fonde con la vivacità e armonia dell’insieme e dà la misura della varietà del mondo figurativo di Fra Antonio da Venezia, la cui opera si inserisce degnamente non solo nell’attività artistica della scuola Olivetana ma anche nel vivo delle contemporanee correnti rinascimentali.
Le Cappelle
Le navate laterali del Santuario della Madonna di Pia sono impreziosite da sei cappelle con peculiarità artistiche uniche. Nel 2004, un devastante incendio danneggiò parzialmente alcune di esse. Di seguito, è possibile apprezza i dettagli architettonici e artistici di alcune delle Cappelle del santuario.
Cappella di San Benedetto
La pala di questo altare rappresenta S. Benedetto da Norcia (inginocchiato ai piedi della Madonna) e il suo giovane discepolo S. Mauro. L’opera è una copia di un quadro di Domenico Zampieri (1581-1641), detto il Domenichino.
L’originale si trovava (prima che venisse rubato) nella Chiesa Parrocchiale di Garlenda, paesino nel retroterra di Albenga. La presente copia dev’essere riuscita così bene che si sta parlando di prenderla come modello per rifare un dipinto che sostituisca quello rubato.
Cappella di Santa Lucia
Il successivo altare che troviamo è dedicato a S. Lucia. Le mani della sua statua reggono un vassoio: su di esso vi sono due biglie policrome, che rappresentano gli occhi che le furono strappati durante il martirio.
Sullo stemma in alto c’è scritto: “ILLVMINA OCVLOS NOSTROS NE OBDORMIANT IN MORTE”
Traduzione: Illumina i nostri occhi perché non s’addormentino nella morte.
La statua di S. Lucia è opera di Billia Antonio. Restauro del 2006 di Anna Graffione.
Cappella delle Anime
La cappella delle SS. Anime del Purgatorio è stata devastata da un incendio nel gennaio del 2004.
La pala dell’altare andò distrutta e fu sostituita con il quadro che vediamo qui accanto.
Si tratta di una riproduzione di una pittura che orna l’abside della Cappella monastica all’interno del Monastero.
Le pitture della Cappella monastica sono opera del monaco di Finalpia Padre Leandro Montini.
Cappella del Rosario
I personaggi del gruppo statuario sono la Madonna con il Bambino, Santa Caterina da Siena (che era Terziaria domenicana), San Domenico da Guzman (fondatore dei Domenicani).
Le statue sono di una grandezza quasi naturale e collocate in una nicchia, chiusa da una porta con vetro.
Il gruppo statuario proviene da Parigi, ma s’ispira al noto dipinto che si trova nel Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei.
Cappella dell’Addolorata
I personaggi del gruppo statuario sono Gesù crocefisso, ai suoi piedi la Maddalena abbracciata la Croce, la Madre e San Giovanni.
Queste statue sono di una grandezza quasi naturale e collocate in una nicchia, chiusa da una porta con vetro.
Da notare che nei pannelli di marmo – che ornano le pareti di questo altare – sono raffigurati gli strumenti della passione (tenaglie, martello, flagello, scala, spugna, lancia, dadi, velo della Veronica).
Cappella di San Giuseppe
All’epoca dei monaci Olivetani questo altare era dedicato a Santa Francesca Romana, in quanto era proprio di fronte a quello che era del Beato Bernardo Tolomei.
Per molto tempo fu dedicato a San Giuseppe, difatti, nel dipinto della lunetta in alto, vediamo lo stesso San Giuseppe che guida l’asinello con Maria e il Bambino, durante la fuga in Egitto.
La scritta dello stemma che sovrasta l’altare “Dio lo ha costituito signore della propria casa”, è un evidente riferimento al capo della Famiglia di Nazaret.
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