La frase di questa domenica è: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”.
In questa domenica, chiamata “Laetere”, dobbiamo veramente gioire perché all’interno della sofferenza ci sarà sempre un momento in cui essa si interromperà, per mostrarci l’altra faccia della medaglia.
Come dicevano gli antichi, quando uno cade in un pozzo solo sul fondo, potrà guardare in alto e vedrà quella luce che rappresenta il suo traguardo. Infatti più che arrivare sul fondo non si può, il movimento successivo è la risalita e questa comporta l’ascesa verso la fine del dolore e il raggiungimento della gioia.
Metafora di tutto questo è la via dolorosa: essa inevitabilmente passa attraverso il tradimento, le frustate le cadute, le ferite, la morte; ma poi la gloria è lì a spalancare le proprie braccia a colui che ha saputo percorrere il cammino con animo forte e senza tentennamenti.
La sofferenza non consiste solo in una sofferenza fisica, essa comprende soprattutto la faticosa salita dell’accoglienza, della lotta contro i propri pregiudizi, la lotta contro quel tarlo interiore, quel demone che corrode dall’interno l’anima dell’uomo. Esso ha diversi nomi: il rimorso, la cattiva coscienza, le tentazioni per ciò che è proibito, il desiderio di quell’impossibilità che vediamo possibile in alcune altre vite.
Oltre ai suoi significati totalmente negativi, ne ha anche alcuni che sembrano così, ma contengono il germe della redenzione. Ne sono un esempio i due figli ai quali il padre chiede di andare a lavorare nella vigna: uno ha detto di sì a parole, ma poi non ci va; l’altro subito si è ribellato dicendo un no, ma poi ha ubbidito all’ordine paterno.
Così, come oggi, questa famosa parabola possiamo applicarla a tantissimi esempi di vita che ci circondano, che ci toccano nel profondo, ci coinvolgono in prima persona perché anche noi siamo quel figlio ribelle che poi si pente.
Tuttavia è ancor più misera la condizione del figlio rimasto a casa, che ha accusato il padre di ingiustizia. La miseria del cuore, a volte, è ben più arida di quella di tanti peccatori, che nel peccato hanno sperimentato forse più l’amore che l’aridità di una vita perfetta.
Chiediamo al Signore di liberarci da quell’aridità e dal paragone tra peccato e perfezione; perché, se siamo nel peccato, possiamo contare sulla sua misericordia e ascoltare le sue parole.
Se invece siamo intaccati dalla perfezione arida, la nostra vita diventa sorda a qualsiasi richiesta o discorso ragionevole che possiamo udire dal Padre.
O Signore nella tua infinita misericordia sai che io sono peccatore apri le tue braccia, accoglimi non come un figlio, ma come il più umile dei tuoi servi, affinché io possa ancora godere della tua presenza.