La frase di questa domenica è: “Fate del bene senza sperare nulla”.
Nell’anno giubilare che ha come motto “Pellegrini di speranza” sembra che vi sia una contraddizione sostanziale: Gesù dice di non sperare nulla, il Papa definisce gli uomini come pellegrini che vanno in cerca e che sono portatori di speranza.
A ben vedere, ovviamente, è solo una visione da due punti di partenza diversi per giungere alla stessa meta. Gesù invita a non essere “ragionieri nella fede”, a non essere “usurai nell’amore”. Egli ci richiama ad un premio, un interesse, una speranza, appunto, ben più alta di ciò che incontriamo lungo il viaggio della nostra vita.
Il Papa nella sua indizione del giubileo vuole porre l’attenzione sul viaggio che ciascuno, “senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali” (Art. 3 della Cost. italiana) sta compiendo nella propria vita. Egli definisce anche se stesso un uomo che va nel mondo alla ricerca di quei luoghi che possono dare speranza, così che nei suoi viaggi ha scoperto che la meta, come per tutti gli uomini, di questi viaggi è il proprio cuore: esso è il luogo che cerca e dona speranza, proprio come Gesù che cerca di guarire il cuore affinché non si indurisca come è accaduto “a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto”; e in tutti gli altri luoghi che richiamano tale durezza e tentazione: i lager, le favelas, le periferie delle grandi città, la terra martoriata della Palestina, le strade dei trafficanti di uomini, i barconi che solcano il Mediterraneo, ma anche i salotti buoni, i parties e le serate di gala, e oggi potremmo anche aggiungere i social media che sono il palcoscenico della controcultura di massa.
Sì c’è bisogno di pellegrini che percorrano il mondo come i cercatori d’oro del Klondike, per cercare appunto quei luoghi dove sopravvive la speranza: le corsie degli ospedali, gli ospizi, le scuole periferiche o per immigrati, le associazioni di volontari che portano cibo e coperte ai senzatetto; insomma chi si spende per cercare il necessario per coloro che sono nel bisogno, chi nell’anonimato e nel silenzio cerca di rispondere alle grida di aiuto che da tanta parte del mondo si alzano; agli operatori di MSF, di Emergency, ai missionari, a coloro che anche con poco contribuiscono nel loro piccolo ad essere una goccia del fiume dell’amore.
Ho già citato una volta e mi piace citare nuovamente questo passo del poeta:
“Ho capito quanto sia pieno di insidie il termine aiutare. C’è così tanta falsa coscienza, se non addirittura esibizione, nel volere a tutti i costi aiutare gli altri che se per caso mi capitasse, di fare del bene a qualcuno, mi sentirei più pulito se potessi dire: “Non l’ho fatto apposta”. Forse solo così tra la parola aiutare e la parola vivere, non ci sarebbe più nessuna differenza”.
Vorrei sottolineare l’ultima frase perché all’interno di essa vi è racchiusa l’intera ricchezza del cristianesimo, come tesoro prezioso che tra le altre contiene la perla più bella di tutte: la speranza.