La frase di questa festa è: “Poi aprirono i loro scrigni …”
La vicenda dei Magi dovrebbe richiamare alla mente, in ciascuno di noi, una predisposizione naturale. Quando siamo di fronte ad un amico o andiamo a trovare una persona, portiamo dei doni, a volte piccole cose, a volte oggetti più o meno costosi, il più delle volte (se è una persona speciale) portiamo noi stessi, la nostra presenza, il nostro tempo.
Infatti, se andiamo a trovare un anziano, il regalo più bello che gli possiamo donare è il nostro tempo, il passare un po’ di tempo con lui/lei, conversando e ricordando le reciproche conoscenze, portando notizie dal nostro mondo quotidiano.
I Magi partirono dal loro Paese, compirono un lungo cammino per andare ad adorare un bambino povero, nato in una misera casa, ma di cui le stelle avevano predetto che avrebbe compiuto grandi cose. Ne sono testimonianza i doni: l’oro (riconoscere la ricchezza della persona che dona e che riceve), l’incenso (riconoscere che il corpo è fatto solo al fine di traghettare lo spirito) e la mirra (riconoscere che la sofferenza è l’esercizio principale per accedere alla vita eterna).
Fuor di metafora quello che ci fa riflettere è proprio la frase in questione. Ciascuno di noi ha uno scrigno segreto dove è contenuto il suo tesoro, la parte più preziosa che ha. Ebbene questo fecero i Magi, aprirono i loro scrigni, donarono ciascuno un oggetto prezioso (ma che cosa se ne fece la famiglia, non è dato saperlo) perché l’importanza è stata proprio quella visita.
Quando parliamo del nostro scrigno, mettiamo a nudo il nostro Sé, che non è per tutti (molte volte neanche per noi) perché conoscere il proprio tesoro è un’impresa che per tanti richiede tutta la vita. Ci sono persone che per fatti straordinari conoscono molto presto il loro tesoro, ma per la maggioranza ci vogliono decenni e forse non è detto che si arrivi a conoscerlo.
Solo verso la vecchiaia, voltandoci indietro possiamo scorgere (come nella fiaba di Hansel e Gretel) le diverse briciole che abbiamo lasciato lungo la strada della nostra vita, briciole che se andiamo a ritroso ci portano al nostro tesoro che ormai però non possiamo più usare.
Jung considerava il Sè il proprio tesoro, quella parte intima in grado di cogliere la varietà e la bellezza della vita, o che gli indiani contemplavano nella creazione dei loro mandala.
Gesù fin da subito seppe quale fosse il suo tesoro: “Pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso” (Fil. 2,6-11). Nel suo magistero Gesù non perde occasione di invitare i suoi discepoli a seguire il suo esempio, donare a piene mani, non il superfluo, ma l’essenziale addirittura se stessi. L’episodio del giovane ricco è un altro tassello che indica il livello di “donazione” che il seguace di Cristo deve porre sulla bilancia se vuole seguirlo.
Infine vi è la croce, altro dono prezioso che deve essere dato per la salvezza del prossimo. Il Vangelo di Natale, è un Vangelo di donazioni sempre più ampie, sempre più intime, solo così si può intraprendere la strada che, passando attraverso la porta stretta del Golgota, ci apre alle gioie della vita eterna.