La parola di questa domenica è: gridare.
Nel Vangelo, ma anche nella nostra vita, il verbo ‘gridare’ è uno strumento polifunzionale: serve per parlare, serve per richiamare l’attenzione, serve per dire il nostro dolore, la nostra rabbia, la nostra impotente umanità, serve come contrapposizione al silenzio. Insomma gridare non ha solo una funzione, ma diverse e significative.
Nell’episodio di Bartimeo egli non ha altro mezzo comunicativo che il grido: è cieco, tanta gente sta parlando intorno a lui, non può usare la parola perché il suo handicap non gli permette l’orientamento e l’autonomia. Così si mette a gridare per cercare di attirare l’attenzione di quel personaggio che sente che sta transitando vicino a lui.
Se fosse stato un uomo qualsiasi non gli avrebbe fatto caso, ma Gesù viene per i malati non per i sani e quindi è sensibile alle comunicazioni dei primi rispetto al cicaleccio dei secondi.
Anche in altre occasioni Gesù si è trovato a rispondere al richiamo delle grida.
Ma gridare è anche sinonimo di rabbia. “Voi sapete perché si grida contro un’altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l’uno con l’altro. D’altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini.” Così spiegava il gridare il Mahatma Gandhi quando riportò la storia di un vecchio saggio.
È anche questo un modo per capire che nel nostro mondo le grida, la cacofonia dei talk show sono una palestra di odio e di ignoranza, dove tutti gridano e nessuno ascolta, essi sono la rappresentazione dell’inferno comunicativo.
Gesù non vuole questo allontanamento, perché è un peccato contro il prossimo. Tuttavia anche Gesù grida. Una volta cacciando i mercanti dal tempio e le sue grida sono comandi dettati dall’autorità della quale era investito.
Grida quando si rivolge a Satana che è il simbolo dell’allontanamento dal prossimo. E poi grida sulla croce, il suo grido è un’ulteriore preghiera che nel dolore non può sussurrare come nel Getsemani.
Lì sul Calvario, Egli chiama il mondo a raccolta per metterlo nelle mani di quel Dio che lo stava facendo morire a quel modo per poterlo accogliere nel suo mondo, là dove le grida non esistono più perché la vicinanza è naturale in quanto tutti partecipano di tutto e non esiste più nessuno che possa dirsi altro dal tutto.
Nel giardino di Eden non si udivano grida perché su tutto regnava l’armonia. Ma fu violato l’albero. Ben diverso quindi fu lo scenario tra l’interno dell’arca e la gente che stava fuori mentre si scatenava il diluvio. Lì si alzarono grida disumane, le stesse che si sentirono a Sodoma e Gomorra, le stesse che si sentono oggi nei teatri di guerra.
Non grida la gente che sta morendo di fame, non gridano nei salotti ovattati i banchieri che decidono delle sorti di milioni di persone, perché le grida sono appese a firme che condannano, scoppiano dentro le pance vuote.
Si grida negli ospedali, dove la sofferenza colpisce il corpo, non si grida là dove il servizio si fa carità. Facciamoci portatori di un grido per i nostri fratelli che sono senza voce affinché le loro miserie siano le nostre miserie e la risposta che Gesù concede sia per tutti il balsamo che guarisce.