La parola di questa domenica è: ‘carne’.
Nel Vangelo, quando si cita la parola ‘carne’ è necessario partire dal paradigma giovanneo dall’incipit del suo Vangelo. “Et Verbum caro factum est et abitavi in nobis” (e il Verbo si fece carne venne ad abitare in mezzo a noi) nel linguaggio biblico il termine ‘carne’ indica tutto l’uomo nel suo aspetto terreno, in quanto storico, debole e mortale.
Tale concetto è la ‘transduzione’ da un’esperienza concreta e verificabile ad una realtà altresì concreta, ma più legata alla relazione comunicativa e quindi alle convenzioni sociali; o ancora alla caratteristica precipua dell’essere umano, che si compendia nel pensiero/parola.
Perciò la parola creatrice, cioè quell’azione che noi abbiamo creato, in mancanza di un’esperienza diretta e che potrebbe avvicinarsi al reale processo creativo divino, diventa nel tempo, cioè nel momento in cui si pensa/pronuncia, un oggetto condivisibile e una esperienza concreta, dove non esiste il soggetto perché la frase è al passivo.
Infatti è l’oggetto il soggetto di sé, così come l’utilizzo del verbo ‘fio’ e non del verbo ‘facio’. La concomitanza con il ‘fiat’ mariano è estremamente evidente.
Ma è la seconda parte che fa assumere una rilevanza umana al tutto, perché quella carne, quella parola, viene ad abitare in mezzo a noi. Perciò la carne è un soggetto/oggetto che non rimane in una realtà iperuranica, ma scende e si fa vicino di casa, si fa situazione di sofferenza, di fatica, di guerra, ma anche di bellezza naturale, di pace panica, di godimento massimo di tutto quello che la carne è capace assorbire nella situazione del ‘qui ed ora’.
Quando Gesù parla di sé come carne vuole indicare non solo l’oggetto, ma tutto il processo per cui quell’oggetto lì è diventato quello che è, perché è insito in sé il principio primo e ultimo del suo essere, in questo caso: carne.
Così quando nell’Ultima Cena dice ai suoi amici che devono mangiare sua carne, è appunto in quell’ottica che devono dirigersi per poter comprendere appieno che cosa intende dire con le sue parole, i suoi insegnamenti.
Cibarsi di quel tipo di carne diventa imprescindibile dal dirsi credenti e cristiani.
Non si può essere se prima non si è, e si è, solo se si è assunto l’habitus di Colui che ci ha insegnato a portare il messaggio di liberazione che è chiamato la Buona Novella.
Infatti nell’obiezione che fanno i Giudei: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” è racchiusa tutta l’ignoranza e l’ottusità nei confronti del messaggio cristiano. Ovviamente non si tratta di una setta di antropofagi, bensì di una comunità che fa delle parole e dei pensieri, oggetti così concreti che si possono assumere come nutrimento e guida per la propria vita.
Ed è sempre quella carne che diventa, oltre che vita anche via e verità in modo tale che sia guida sicura attraverso le difficoltà che l’anima incontra nel suo percorso di redenzione.