La parola di questa domenica è il verbo: nutrire.
In queste settimane il tema del ‘pane’ è centrale per comprendere la missione del cristiano. Ma come ogni cosa che c’è sulla terra, non sono tanto i concetti a spiegare, quanto le azioni che usano le parole per veicolarsi.
Perché sono le azioni che si fanno missionari età. Non è l’immobilismo, ma la dinamicità del darsi da fare. Ecco che mentre il concetto di pane riproposto come parola centrale del messaggio, è però nel sottostante verbo ‘nutrire’ che dobbiamo cercare la vera spiegazione di tale messaggio.
Quando siamo in presenza di un banchetto, di un pranzo di matrimonio, di un semplice pasto in famiglia proviamo a domandarci chi prova un piacere più intimo.
Ci sono i commensali, coloro che degustano i cibi, che godono del prodotto, sono contenti di riempire le proprie pance. C’è poi chi ha comprato i generi alimentari, senza i quali non si possono allestire mense luculliane. Ma c’è il cuoco, il committente, la mamma che gode intimamente del piacere che gli altri manifestano nel gustare ciò che lui/lei ha preparato (infatti essi non mangiano o mangiano poco ciò che hanno fatto).
È perciò nel nutrire il piacere più intimo. Lo vediamo ben stampato nelle mamme che allattano i propri figli; lo leggiamo negli occhi degli organizzatori quando si rendono conto che ciò che hanno fatto è stato oltremodo gradito.
Sì perché poi dobbiamo tenere conto che ci sono anche altri modi per nutrire le persone; finora abbiamo parlato di riempire la pancia, ma è ben più soddisfacente riempire (o per meglio dire stimolare) le menti con pensieri propositivi.
Poi c’è l’altra parte del corpo che dà la soddisfazione maggiore: il cuore. Riempire i cuori di amore dà una gioia impagabile, inimmaginabile, che diventa tutt’uno con tutto l’universo nel quale uno è calato.
Quando suscitiamo amore, diciamo che il nostro cuore e il loro cuore è ricolmo di gioia, che siamo così contenti che sembra che il nostro cuore addirittura scoppi per la gioia.
Ecco quindi alcune povere riflessioni che lacunosamente hanno la pretesa di avvicinarci alla ricchezza del verbo nutrire.
Un’ulteriore prova, se ce ne fosse ancora bisogno, risiede nelle domande che si facevano i Giudei, increduli sulle frasi di Gesù, perché contrapponevano la realtà terrena, quotidiana, storica, alle verità eterne.
Come può dire di essere pane disceso dal cielo (cioè figlio di Dio) se noi sappiamo benissimo che invece è il figlio del falegname, di Giuseppe e di Maria? E se anche fosse pane disceso dal cielo (come i nostri padri mangiarono la manna che però sono morti) come può dire che mangiandolo si ha la vita eterna? Non è credibile ciò che questo Gesù dice perché contraddice la realtà stessa. Ecco il grande mistero, ma anche l’unica vera certezza: proprio perchè c’è contraddizione abbiamo la certezza della vita eterna.