La frase di questa domenica è: “Mentre mangiavano …”.
In ogni epoca il rito del pranzo è un rito di per sé sacro, anche là dove la religione è sullo sfondo. La sacralità è data da due elementi: l’azione del mangiare e le relazioni. Vediamo la prima.
Mettere cibo in bocca è una funzione fondamentale e vitale. Senza ingurgito di cibo l’individuo non può sopravvivere; quindi, per poter vivere, è necessario cibarsi. Il cibo è sempre stato al centro della differenziazione delle civiltà, delle tribù, delle comunità. Non c’è nulla come il cibo che rappresenti un legame così forte tra l’uomo e l’ambiente geografico.
Ogni religione ha legiferato norme sul cibo. Anche nell’Ultima Cena il cibo ha rappresentato la manifestazione del legame uomo-ambiente. Una curiosità: sia il grappolo d’uva (vino) sia la spiga di grano (pane) sono due prodotti che costitutivamente sono compositi: gli acini compongono il grappolo, i chicchi la spiga e nessuno dei due può essere costituito da un solo acino o da un solo chicco. Essi sono anche la manifestazione della relazione che deve esserci in una comunità. Solo con tale relazione la comunità può dirsi comunità e quindi presentarsi come una, pur essendo composta da molti individui.
E qui entriamo nel secondo elemento: la relazione.
Quando Gesù dice “prendete” parla ad una comunità, ma si riferisce ad ogni singolo, non è quindi un rapporto individuale che sta la strategia per salvarsi. Egli istituisce l’Eucaristia a tavola con i suoi amici, mentre compiono l’azione più importante per la vita del singolo, usando due elementi (cibi) che hanno una provenienza composita, che cioè sono stati elaborati (non vengono nella loro forma naturale: grappolo e spiga).
Anche in questo passaggio di elaborazione ci sta una relazione fondamentale, perché è il concorso di più persone che riesce a trasformare un frutto naturale in un suo prodotto universalmente accettato e conosciuto.
Però oggi, la sacralità e la ritualità del mangiare insieme pranzo/cena sta perdendo di significato e in questa perdita si porta dietro gran parte del concetto di famiglia (quindi di comunità, di piccola chiesa).
Le nuove mode, il mangiare veloce, i cibi standardizzati (è grave la perdita di differenziazione tradizionale del cibo), la natura del cibo defraudata dai piaceri del gusto e dell’olfatto (tra i più antichi dei 5 sensi), della fatica del lavoro, del piacere di cucinare per i propri cari, stanno uccidendo una grossa parte della vita dell’uomo.
I ricordi, il calendario, i frutti di stagione, le feste e ricorrenze con cibi fatti apposta secondo la tradizione del luogo, si stanno perdendo in una superficialità della vita, del taglio netto con le proprie radici culturali ed affettive, della perdita della propria storia.
Con questi cattivi esempi stiamo perdendo noi stessi, la nostra fede, il nostro modo di vivere e non ce ne accorgiamo. Chiediamo al Signore ricondurci sulla via che ci porta alla coscienza di essere uomini e donne che conoscono il senso della vita e non solo stanchi cercatori di senso.