La frase di questa domenica è: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
È la benedizione per eccellenza, è l’incipit di ogni preghiera, è la preghiera nella preghiera.
Ma è anche qualcos’altro: la formula è anche la patente o come si dice oggi la password per cominciare qualsiasi cosa. Senza questa “parola” non si può entrate in nessun programma umano.
Storicamente chi usava il temine ‘nel nome’ voleva dire che in quel momento lì non era colui che parlava, ma il suo signore, il re, l’imperatore che gli ordinava di comunicare ai sudditi le sue volontà, i suoi ordini.
E chi ascoltava doveva fare l’operazione contraria, cioè vedere in chi parlava, il mandante. È perciò con questa formula, che quando il sacerdote comincia il rito, cessa di essere quell’uomo pieno di difetti e vizi, per assumere la veste di colui in nome del quale parla e compie i gesti che ci mostra.
Oggi, siamo ipercritici, e ci fermiamo invece alla prima visione, cioè a quell’uomo che parla e se quello non ci piace allora neanche quello che dice ci interessa. Così in questo pensiero si cela la grave crisi che sta attraversando la Chiesa con la perdita di consenso, con la perdita dei valori anche laici che stanno distruggendo il sostrato sociale.
Certo non ci sono più i potenti testimoni di una volta, ma in ogni tempo gli uomini di Chiesa sono stati criticati per i loro comportamenti non adeguati al ruolo che ricoprivano. Però la nostra fede deve valicare le miserie umane, se vuole attestarsi in un luogo nel quale possa godere di quella serenità che ci è stata promessa.
Veniamo ora alla distinzione delle tre parti dove si citano tre persone: un padre, un figlio e uno spirito. È appena il caso di ribadire un insegnamento fondamentale. Tale ripartizione è pedagogica e teologica, non sostanziale perché noi crediamo che esista un solo Dio.
Lo disse lui stesso a Mosè: “Io sono il Signore, non c’è un altro Dio all’infuori di me”. Che comunque è la definizione stessa di Dio, che richiede l’unità della persona. Perciò il Figlio è la sua incarnazione per verificare di persona che cosa vuol dire vivere da uomo e per creare un nuovo modo di credere attraverso l’istituzione di una assemblea di persone che pregano per lui.
Infine quando ha terminato la sua missione, non ha potuto lasciare i suoi amici da soli, ma si è manifestato attraverso un’altra forma, come ad vocatus, come Paraclito, cioè come aiutante o supporto per superare tutte le difficoltà.
Ecco che salutare con la preghiera “nel nome del Padre…” vuol dire portare in mezzo a noi la presenza di chi ci ama con tutto il suo cuore, la sua mente, il suo spirito.